Tutti i condomini sono legittimati a richiedere alla banca gli estratti conto intestati al condominio
L’ABF
(Arbitro Bancario Finanziario) ha accolto il ricorso presentato dal "Movimento
Difesa del Cittadino" di Ceriale (Sv)
per conto di una signora condomina, in cui si chiedeva di imporre
alla banca la consegna della documentazione relativamente al conto
corrente intestato al condominio.
La
banca rispose che, "in osservanza della privacy", gli estratti
conto non potevano essere rilasciati a chi non fosse intestatario del
conto, ritenendo tale solo il condominio "nella persona
dell’amministratore pro-tempore quale legittimo rappresentante".
L’ABF
confermò pertanto il proprio orientamento già espresso nella
decisione n. 814 del 19/4/2011,
in cui fu stabilito che "la
natura giuridica del condominio è controversa in dottrina e in
giurisprudenza; tuttavia si ritiene di aderire alla giurisprudenza di
Cassazione prevalente che qualifica "il condominio come un ente di
gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei
singoli condomini", sicché "l’esistenza di un organo
rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i
singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti
esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale".
Oltre
alla Cassazione c'è un altro precedente: la
sentenza di merito del Tribunale di Salerno (in data 30/07/2007) ove
si legge che "ogni condomino, in quanto "cliente" […] deve
aver diritto di ottenere direttamente dall’istituto bancario la
consegna di copia degli estratti conto".
Il
Collegio ha respinto anche l’obiezione sollevata dalla banca di non
poter consegnare i documenti per ragioni di tutela della riservatezza
in quanto, se è "indubbio
che la banca è tenuta a non rivelare a terzi estranei le notizie
riservate inerenti ai rapporti con la clientela […] è altrettanto
vero che quando la legittimazione del terzo appare certa, la banca è
tenuta a dare l’informazione richiesta, non potendo pretendere che
il terzo si rivolga al giudice o, come in questo caso, all’ABF,
perché la svincoli dal segreto bancario. […] il condomino che sia
legittimato come tale, ha diritto a richiedere le informazioni
inerenti al conto corrente bancario del condominio. Il diritto del
condomino all’informazione, da un lato, appartiene alla sua sfera
giuridica".
Ritenuto
fondato il ricorso presentato da MDC, l’ABF ha confermato il
principio secondo cui ogni
condomino deve avere diritto di ottenere direttamente dall’istituto
bancario la consegna di copia degli estratti di conto corrente
intestato al condominio nel quale abita.
Per ottenere l’estratto,
si può richiedere alla banca una convocazione per ricevere dalla
banca stessa l’estratto di conto mostrando un elenco dei componenti
il condominio (o altro documento).
MDC
di Ceriale ha creato un programma "Ghostbusters" che rileva
operazioni non valide di difficile individuazione sull’estratto di
Conto bancario.
"Tempi duri per gli amministratori che non hanno una perfetta
gestione della cassa del condominio..."
...Con la sentenza del 5 ottobre 2011, n° 36022, la Suprema Corte di
Cassazione ha stabilito che il reato di appropriazione indebita si
può verificare a carico dell'amministratore di condominio anche per
ammanchi di importi esigui nei fondi condominiali, quando la giacenza
sia inferiore a quanto risulta dalla contabilità condominiale, dal
momento che una differenza contabile di minima entità potrebbe
fondarsi anche su presupposti non leciti. I Giudici hanno così
affermato che l'esiguità dell'ammanco di cassa di per sé stessa non
è in grado di escludere la responsabilità penale
dell'amministratore per il reato di appropriazione indebita
aggravata, sia sul piano oggettivo che soggettivo.
Ne deriva che l'amministratore di un condominio in presenza di un
ammanco di cassa, anche di minimo importo, per evitare la condanna,
dovrà dare prova del fatto che tale differenza rispetto al dato
contabile è stata causata da altre ragioni, come ad esempio un
errore nella contabilità. In assenza di tale prova, egli risponderà
anche penalmente dell'ammanco nelle casse condominiali, pur se il
reato si è concretizzato in una differenza di minimo importo.
Nella realtà capita troppo spesso che gli amministratori non
professionisti usino il denaro dei condomini in maniera impropria,
sia per prassi, sia per la mancanza di precise disposizioni di legge
sul punto, facendo affluire gli oneri condominiali incassati su
propri conti correnti o in depositi bancari comuni, finendo col
creare una sostanziale confusione di patrimoni e l'automatica
incoerenza del saldo contabile col saldo di cassa.
La giurisprudenza ha cercato di supplire a questa deficienza
normativa segnando una serie di principi che l'amministratore deve
conoscere ed osservare per un corretta gestione della cassa del
condominio:
1) l'amministratore è obbligato a far affluire i
versamenti delle quote condominiali su un apposito e separato conto
corrente intestato a ciascun condominio da lui amministrato, onde
evitare che possa sorgere confusione tra il suo patrimonio personale
e quelli dei diversi condominii che gestisce, nonché tra questi
ultimi (v. Trib. Salerno Sez. I, 3 maggio 2011, in Contratti 2011, 6,
602, Trib. Torino, 3 maggio 2000, in Arch. locazioni, 2001, 456);
2) per contro, il singolo condomino ha un vero e proprio
diritto soggettivo a veder versate le proprie quote, sia per
sopperire alle spese che per gli eventuali fondi, su un conto
corrente intestato al condominio e non personalmente
all’amministratore, ed a conoscere l’entità degli interessi che
maturino a suo favore (v. Trib. Milano, 9 settembre 1991, in Arch.
locazioni, 1992, 378);
3) la mancata adozione da parte dell'amministratore di
condominio di un conto corrente apposito per la gestione condominiale
costituisce perciò, da sola, una irregolarità di tale gravità da
comportare la revoca del mandato (cfr. Trib. Roma, 24 agosto 2009, in
De Jure; Trib. S. Maria Capua V., 17 luglio 1997, in Gius 1998, 121;
Trib. Torino, 3 maggio 2000, in Arch. locazioni 2001, 456; Trib.
Milano, 29 settembre 1993, in Foro it., 1994, I, 1967 Trib. Milano, 9
settembre 1991, in Arch. Locazioni 1992, 378);
4) ne consegue che è illegittima la deliberazione
dell’assemblea di condominio che preveda di far affluire i
versamenti delle quote condominiali sul conto corrente personale
dell’amministratore, in quanto ciò integra la lesione del diritto
di ciascun condominio alla perfetta trasparenza, chiarezza e facile
comprensibilità della gestione condominiale, limite inderogabile
alle scelte discrezionali e gestionali degli organi di
amministrazione e governo del condominio (v. Trib. Genova, 16
settembre 1993, in Giust. civ., 1994, I, 2635);
Questo elenco di norme è stato ritenuto così importante dal
legislatore che per una parte sostanziale lo ha fatto confluire nel
progetto di legge per la "Riforma del condominio", contenuta nel
DDL n. 4041, recante "Modifiche alla disciplina del condominio
negli edifici", approvato in prima lettura dal Senato il 26 gennaio
2011, e poi all'esame della Camera dei Deputati, il quale
espressamente prevede al comma 5° del nuovo art. 1129 che
«L'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute
a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a
qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico
conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun
condomino può accedervi per prendere visione ed estrarre copia, a
proprie spese, della rendicontazione periodica. Alla cessazione
dell'incarico l'amministratore è tenuto alla consegna di tutta la
documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli
condomini e a eseguire le attività urgenti al fine di evitare
pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori
compensi.»; aggiungendo al comma 9, lett. c), come ipotesi
tipica di "grave irregolarità" legittimante la revoca
dell'amministratore, appunto, «c) la mancata apertura ed
utilizzazione del conto di cui al quinto comma».
Il rapporto tra amministratore e condomini è basato sulla
fiducia. Questa affermazione indica esattamente l’elemento primario
ed indispensabile che giustifica tutto ciò che di seguito andremo a
considerare sull’argomento in discussione.
Nello svolgimento del suo mandato l’amministratore deve sempre
rispettare gli obblighi di lealtà, correttezza e di diligenza nei
confronti dei condomini, soprattutto nella gestione dei fondi
condominiali, la cui violazione può incidere negativamente sul
rapporto fiduciario, intercorrente tra le parti, fino al punto da
rendere impossibile lo svolgimento dell’incarico e la gestione del
condominio.
Pertanto, rientra nei poteri negoziali dell'amministratore, e
rappresenta una opportuna cautela e garanzia di corretta gestione,
l'apertura di un conto corrente, anche se la banca, prima di
accendere un conto intestato all'ente (condominio), deve accertarsi
dei poteri del richiedente (v. Trib. Padova, 5 luglio 2007, in Imm. e
propr., 2007, 11, 734; Trib. Chieti, 8 maggio 2007).
La gestione dei fondi e dei movimenti di cassa condominiali
mediante un conto corrente bancario o postale pone l'amministratore
anche al riparo da possibili accertamenti fiscali da parte
dell'Agenzia delle Entrate. Non a caso la Suprema Corte ha stabilito
che «Nel caso di amministratore di condominio, è necessario
verificare, in base alla prova liberatoria offerta dal contribuente,
quali siano le singole movimentazioni bancarie riferibili
direttamente all'attività di amministrazione del condominio, onde
poter conseguentemente escludere che le stesse non costituiscano
corrispettivi non dichiarati. La prova liberatoria non può essere
generica, ma deve essere specifica, stante la presunzione di cui
all'art. 51 D.P.R. n. 633/1972, se il contribuente utilizza
il conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di
denaro altrui deve fornire la prova analitica della riferibilità di
ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di denaro
altrui, diversamente, la rispettiva movimentazione, in
assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile
quale corrispettivo non dichiarato» (v. Cass. civ.
Sez. V Sent., 13 giugno 2007, n. 13818, in Notariato, 2007, 5, 494,
cfr. pure Cass. civ. Sez. V Sent., 13 giugno 2007, n. 13819, in Mass.
Giur. It., 2007).
Nella gestione del conto corrente bancario o postale intestato ad
un condominio, l’amministratore non può compiere operazioni che
eccedano l’ordinaria amministrazione, salvo il caso di apposita
delibera assembleare; è pertanto inefficace nei confronti del
condominio già intestatario del relativo conto corrente, l’apertura
di credito illecitamente ottenuta dall’amministratore pro tempore
dietro presentazione alla banca di falsa delibera da lui stesso
redatta, contenente l’autorizzazione assembleare ad effettuare
l’operazione bancaria sulla base di necessarie e ingenti somme da
sborsare per spese di ristrutturazione dell’immobile;
conseguentemente, il condominio non potrà essere chiamato a
rispondere del relativo debito derivante dal saldo negativo del conto
(v. Trib. Monza Sez. II, 6 novembre 2006; Trib. Firenze, 6 agosto
2004, in Arch. Locazioni, 2004, 721), allo stesso modo non è
efficace nei confronti del condominio il contratto di mutuo stipulato
dall'amministratore senza preventiva delibera assembleare, anche se
stipulato per provvedere alle spese occorrenti alla manutenzione
delle parti comuni dell'edificio (v. Cass. Civ., II sez, 5 marzo
1990, n. 1734, in Foro It. 1990 , 11, I, 3221).
La gestione separata delle risorse finanziarie del condominio è
giustificata anche dalla necessità di evitare tutte le conseguenze
dannose per l’ente di una eventuale procedura esecutiva o
fallimentare che potesse svolgersi nei confronti dell’amministratore,
in quanto come è evidente la confusione dei patrimoni potrebbe
condurre i creditori – senza che il condominio possa eccepire
alcunché – a rivalersi legittimamente su tutti i beni mobili (tra
cui il denaro) ed immobili a questi intestati (cfr. Cass. civ. Sez.
I, 31 marzo 2011, n. 7510, in CED Cassazione, 2011, e Cass., sez. I,
7 dicembre 1999, n. 13660, in Foro it., 2000, I, 1905); per contro
nello stesso caso di confusione dei patrimoni il creditore del
condominio potrebbe rimanere vittima dell’illegittimo e fraudolento
occultamento dei fondi del condominio, che venissero versati su conti
o depositi bancari intestati personalmente all’amministratore.
Alla scadenza del mandato l’amministratore, dopo la spiegata e
corretta gestione dei fondi e della cassa dell’ente, è tenuto a
consegnare tutto quanto ha ricevuto per effetto dell’incarico al
suo successore ed a rendere il conto della sua gestione.
Ormai è pacifico, sia in giurisprudenza sia in dottrina, che
l’amministratore del condominio configura un ufficio di diritto
privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la
conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e
ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato; pertanto, a
norma dell’art. 1713 c.c., alla scadenza dell’incarico
l’amministratore è obbligato a rendere il conto della sua gestione
ed a restituire ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato per
conto del condominio, vale a dire tutto quello che ha in cassa,
indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono
(v. Cass., sez. II, 16 agosto 2000, n. 10815, in Rass. locazioni,
2001, 117, n. DE TILLA), quindi anche quel denaro che avesse
eventualmente incassato, quale recupero di crediti scaduti dell’ente
verso condomini o verso terzi, ma riguardante gestioni diverse dalla
sua.
Naturalmente l’obbligo posto a carico del mandatario di
rimettere al mandante tutto quello che ha ricevuto a causa del
mandato (art. 1713, 1º comma, c.c.) non sorge solo a seguito della
conclusione dell’attività gestoria, ma anche quando si accerti
l’impossibilità di eseguirla o quando vi sia stata la revoca del
mandato, poiché in entrambi i casi il mandatario non ha più titolo
per trattenere quanto gli è stato somministrato dal mandante (v.
Cass., sez. III, 11 agosto 2000, n. 10739, in Foro it., 2001, I,
512).
L’obbligazione non si riferisce soltanto ai valori in cassa,
bensì a tutto quanto egli abbia ricevuto per lo svolgimento
dell’incarico, tra cui i documenti concernenti la gestione, che
peraltro egli non può trattenere fino a quando non gli vengano
rimborsate le eventuali somme anticipate per conto del condominio,
avvalendosi del principio "inadimplenti non est adimplendum",
non essendovi corrispettività né interdipendenza tra le prestazioni
in parola, originate da titoli diversi (v. Cass., sez. II, 3 dicembre
1999, n. 13504, in Rass. locazioni, 2000, 165, n. DE TILLA).
Nel caso in cui vi fosse un rifiuto da parte dell’amministratore
uscente di adempiere agli obblighi di fine mandato i condomini
possono rimediarvi con due diverse azioni:
1) l’azione di rendiconto, con la quale il
convenuto deve fornire la prova non soltanto dell’entità e della
causale degli esborsi e degli incassi, ma anche di tutti gli elementi
di fatto sulle modalità di esecuzione dell’incarico, utili per la
valutazione del suo operato, in relazione ai fini perseguiti, ai
risultati raggiunti ed ai criteri di buona amministrazione e di
condotta prescritti dagli artt. 1710-1716 c.c. (v. Cass., sez. III, 9
febbraio 2004, n. 2428, in Mass. 2004 e Cass., sez. I, 23 aprile
1998, n. 4203, in Giur. it., 1999, 1845, n. FORCHINO; cfr. anche
Cass., sez. I, 10 dicembre 2009, n. 25904, in CED cassazione 2009).
Tra l’altro è bene ricordare che l’obbligo del rendiconto non
viene meno neanche nel caso di morte del mandatario, in quanto esso
si trasmette ai suoi eredi; infatti l’estinzione del mandato per
morte del mandatario, prevista dall’art. 1722, n. 4, c.c., e
l’obbligo di rendiconto a carico dello stesso mandatario, previsto
dal precedente art. 1713, 1º comma, c.c., si collocano su piani
diversi e non confondibili, di tal che l’evento morte spiega il
solo effetto giuridico di trasferire l’obbligo di rendiconto, dal
mandatario, ai suoi eredi, in virtù delle norme generali in tema di
successione mortis causa (v. Cass., sez. II, 10 giugno 2003,
n. 9262, in Mass. 2003 e Cass., sez. III, 4 settembre 1998, n. 8801,
in Mass. 1998);
2) l’azione di restituzione è esperibile sia in
via ordinaria, ovvero con atto di citazione, sia pure in via
d’urgenza con ricorso ex art. 700 c.p.c. (v. tra le tante Trib.
Roma, 7 dicembre 1998, in Arch. locazioni, 1999, 109; Trib. Bologna,
26 maggio 1998, in Arch. locazioni, 1999, 289; Trib. Trieste, 3
aprile 1993, in Giust. civ., 1994, I, 907). Il nuovo amministratore è
legittimato ad agire, anche senza autorizzazione dell'assemblea (v.
Trib. Salerno Sez. I, 7 agosto 2008, Cass. civ. Sez. II, 3 dicembre
1999, n. 13504, in Mass. Giur. It., 1999, e Trib. Roma, 18 marzo
1987, in Arch. Locazioni, 1988, 752; contra Trib. Arezzo Sent., 4
aprile 2007, in In nome del popolo aretino, 2007), onde ottenere la
consegna immediata di tutti i documenti e delle risorse finanziarie
(tra cui le somme riscosse per ogni titolo e ragione, comprensive
degli interessi ex art. 1714 c.c.) del condominio da parte del suo
predecessore, in adempimento degli obblighi sanciti dal citato art.
1713 c.c.
Secondo la più recente giurisprudenza di merito è ammissibile
anche il ricorso alla procedura monitoria al fine di ottenere la
consegna della documentazione e della cassa condominiale, quale cosa
mobile determinata, illegittimamente detenuta dal pregresso
amministratore (v. Trib. Ariano Irpino, 24/04/2007, in Arch.
Locazioni, 2007, 5, 500). Il diritto alla consegna di una cosa mobile
determinata menzionato dall’art. 633, comma 1, c.p.c. non ha natura
diversa, se non per l’oggetto della prestazione, dal diritto di
credito ad una somma di denaro ed è, quindi, parte della categoria
generale del credito quale unica situazione giuridica soggettiva
tutelabile in sede monitoria. Infatti è pienamente ammissibile la
domanda, proposta nelle forme del ricorso per ingiunzione, con la
quale venga esercitata un'azione di carattere personale avente a
oggetto la restituzione di una cosa in quanto l'art 633 cod proc civ,
nel riferirsi alla domanda "di chi ha diritto alla consegna di
una cosa mobile determinata", indica qualsiasi prestazione di
dare che costituisca il contenuto di un rapporto obbligatorio (cfr.
Cass. Civ., II sez., 14 dicembre 1978, n. 5957).
Secondo la sentenza del Tribunale di Ariano Irpino si può fare
ricorso alla procedura monitoria per farsi restituire la
documentazione condominiale, illegittimamente detenuta dal pregresso
amministratore, perché la contabilità cartacea può essere
assimilata ad una cosa mobile determinata e l'amministratore di
condominio alla fine del suo mandato ha l'obbligo di restituire ai
condomini quanto ha ricevuto a causa dello svolgimento dell'incarico,
tra cui i documenti concernenti la gestione, a prescindere da ogni
motivazione. L’ex amministratore non può, pertanto, trattenere la
documentazione condominiale a causa di un mancato rimborso di somme
anticipate per conto dell'ente, non essendovi corrispettività né
interdipendenza tra dette prestazioni, originate da titoli diversi.
La documentazione della gestione precedente deve essere
assolutamente, inderogabilmente ed obbligatoriamente consegnata al
nuovo amministratore, perché è indispensabile per l'esecuzione
delle deliberazioni assembleari, per il rispetto del regolamento di
condominio, l'amministrazione delle cose e degli impianti e dei
servizi comuni, la conservazione e la manutenzione di essi, la
disciplina del loro uso e, soprattutto, la riscossione dei
contributi.
Quindi, se l'ex amministratore non ottempera a tale obbligo, può
essere condannato non solo alla consegna di tale documentazione, ma
anche al risarcimento del danno causato al condominio e costituito in
quei costi necessari a ricostruire le posizioni contabili interne e
verso terzi fornitori. Tale danno non è sempre facilmente
documentabile e potrà essere liquidato dal Giudice secondo equità
(v. Trib. Padova Sez. I, 14 giugno 2003, in Mass. Giur. Civ.
Patavina, 2006).
Il rifiuto illegittimo o il ritardo ingiustificato delle consegne
al nuovo amministratore possono integrare quella interversione nel
titolo del possesso, che costituisce l’elemento materiale
del reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p.
Invece l’elemento soggettivo di un tale illecito penale si
realizza allorquando l’agente in piena coscienza e volontà, vale a
dire con dolo generico, si appropria della cosa mobile altrui,
posseduta ad un qualsiasi titolo. Chiaramente nel caso
dell’amministratore di condominio uscente – che stia esplicando
tutte le pratiche per il passaggio delle consegne – perché si
realizzi il reato in parola non basta che sussista "il semplice
rapporto materiale tra il possessore e la cosa posseduta",
bensì occorre che egli evidenzi il rifiuto espresso o tacito (ad es.
per facta concludentia decorso il termine della diffida ad
adempiere) alla riconsegna, dimostrando un potere di fatto autonomo e
nuovo rispetto alla cosa stessa (denaro od altri beni).
Nel caso dell’amministratore di condominio che si appropri
indebitamente dei valori o dei beni condominiali configura anche
l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 c.p., perché all’origine
vi è un rapporto di prestazione d’opera, che non si risolve in un
semplice rapporto fiduciario, ma in un vero è proprio contratto di
mandato, un ufficio di diritto privato con effetti obbligatori tra le
parti. In effetti la prestazione d’opera di cui l’agente abusa,
facilita l’indebita appropriazione, determinando la configurabilità
dell’aggravante de quo (v. Cass. pen., Sez. II, 6 dicembre 2005, n.
3462, in CED Cassazione, 2006; Cass. pen., Sez. II, 18 marzo 1999, n.
11264, in Cass. Pen., 2000, 2669 e Arch. Nuova Proc. Pen., 2000, 66).
Ma sul punto la giurisprudenza di legittimità è andata oltre
sostenendo che "l’aggravante dell’abuso di prestazione
d’opera implica un concetto più ampio di quello civilistico di
«locazione d’opera», comprendendo tutti i casi nei quali, a
qualunque titolo (quindi anche rapporti di mero fatto), taluno abbia
prestato ad altri la propria opera; infatti, ciò che rileva è
l’abuso della relazione fiduciaria da parte dell’autore, il quale
profitta di una situazione di minore attenzione della vittima,
determinata proprio dall’affidamento che questa ripone nell’opera
dell’altro, per commettere un reato a suo danno" (v. Cass.
pen., Sez. II, 23 settembre 2005, n. 40793, in Guida al Diritto,
2005, 47, 65; Cass. pen., Sez. II, 8 ottobre 2004, n. 44868, in Riv.
Pen., 2006, 1, 97; Cass. pen., Sez. II, 23 ottobre 2003, n.895, in
Riv. Pen., 2004, 1245;), chiaramente deve esservi un rapporto
giuridico apprezzabile, che non si risolva in un rapporto meramente
occasionale ed estemporaneo, connesso a ragioni di semplice amicizia
(v. Cass. pen., Sez. VI, 11 dicembre 1995, n. 2717, in Cass. Pen.,
1997, 398 e Giust. Pen., 1996, II, 715).
Nella pratica è diffuso il caso dell’utilizzo da parte
dell’amministratore del denaro condominiale per scopi personali ed
estranei al condominio amministrato, ma ricorre l’appropriazione
indebita aggravata anche per il semplice ed indebito lucro che
l’amministratore potesse ricavare mettendo in giacenza od in
profitto su propri conti bancari tali somme o quando addirittura le
investisse con l’acquisto di titoli od altri beni mobili ed
immobili.
Ricorre l’appropriazione indebita aggravata anche se
l’amministratore avesse lucrato dei soli interessi attivi maturati
sulle somme del condominio (cfr. Cass., 9 novembre 1987, in Impresa,
1988, 2573).
Integra il reato di appropriazione indebita la condotta
dell'amministratore condominiale che, ricevute le somme di denaro
necessarie dai condomini, ometta di versare i contributi
previdenziali per il servizio di portierato. (Cass. pen. Sez. II, 11
novembre 2010, n. 41462, in CED Cassazione, 2010; cfr. Cass. pen.,
sez. II, 11 maggio 2009, in Riv. Pen. 2010, 906).
Quando l’amministratore nel compiere il delitto di
appropriazione indebita cagiona un grave danno economico al
condominio ricorre anche l'aggravante del "danno patrimoniale di
particolare gravità" sancita dal n. 7 dell’art. 61 c.p. (v.
Trib. Roma, 4 giugno 2004, n. 12910, in Guida al Diritto, 2004, 50,
80); chiaramente se il delitto contro il patrimonio fosse solo
tentato, la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p.,
potrebbe essere riconosciuta soltanto se, essendo le modalità del
fatto criminoso idonee a fornire concrete indicazioni sull’entità
del danno, risultasse rigorosamente dimostrato che, ove l’evento si
fosse verificato, il danno patrimoniale sarebbe stato di rilevante
entità (v. Cass., sez. VI, 10 novembre 1994, in Mass. Cass. pen.,
1995, fasc. 5, 53).
Nel caso in cui l’amministratore sottragga periodicamente delle
somme dai conti del condominio per scopi personali e non giustificati
dalle esigenze gestionali dell’ente il reato si configura anche
come "continuato" ex art. 81 c.p., e ad avviso della Suprema
Corte "in caso di reato continuato, valendo, in mancanza di
tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione
in ordine alla sussistenza o meno dell’aggravante del danno di
rilevante gravità dev’essere operata con riferimento non al danno
cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo
cagionato dalla somma delle violazioni, difettando una norma che, ai
fini in questione, consideri il reato come una pluralità di episodi
tra loro isolati" (v. Cass. pen., Sez. VI, 8 luglio 2005, n.
33951, in Riv. Pen., 2006, 7-8, 842 – sull’amministratore di
condominio v. Cass. pen., Sez. II, 30 aprile 2004, n. 39651, in Guida
al Diritto, 2004, 45, 59).
L’appropriazione indebita aggravata compiuta dall’amministratore
di condominio è sempre procedibile d’ufficio ed all’uopo, non ha
influenza la dichiarazione di equivalenza tra quella aggravante e le
attenuanti generiche; a maggior ragione, la remissione di querela non
spiega alcuna influenza sull’esercizio dell’azione penale (v.
Cass., 5 dicembre 1980, in Riv. pen., 1981, 810)
Caratteristiche simili, quali l’appropriazione della cosa,
mettono in rapporto alcuni reati con la fattispecie di reato in
esame, tra i quali il reato di truffa ex art. 640 c.p.
Tuttavia l’elemento discriminante nel reato di truffa è la
sussistenza degli artifici e raggiri.
Il delitto di appropriazione indebita consiste nella semplice
interversione del titolo del possesso da parte di chi, a qualsiasi
titolo, detenga danaro od altra cosa mobile altrui; non sussistono
quindi gli estremi del reato di cui all’art. 646 c.p., bensì
quelli della truffa, allorché l’amministratore si impossessi del
denaro appartenente al condominio attraverso una serie di passaggi
contabili, di atti e di convenzioni, volti, non solo ad assicurarsi
il frutto del reato, ma a fare apparire regolari i trasferimenti
(cfr. Cass., sez. V, 21 gennaio 1999, in Ced Cass., rv. 212528).
Nel caso della sentenza annotata sarebbe emerso il reato di
truffa, qualora l’amministratore di condominio avesse convinto con
l’inganno l’assemblea condominiale a votare la realizzazione di
lavori straordinari al fabbricato, avesse fittiziamente affidato il
lavori ad una ditta, facendosi pagare la prima quota dei lavori dai
condomini, per poi appropriarsene (cfr. Cass., 19 aprile 1989, in
Riv. pen., 1990, 602).
Infine, è bene ricordare che i condomini devono avere sempre una
particolare attenzione nei confronti dell’amministratore che non
rende il conto della sua gestione in quanto il reato di
appropriazione indebita – rilevabile per lo più dal rendiconto –
prevede un termine di prescrizione ordinario dalla data di
commissione del fatto di 6 anni; infatti con l’entrata in vigore
della legge 5 dicembre 2005, n° 251 è stato modificato l’art. 157
c.p. che prevedeva per il reato di appropriazione indebita il termine
di prescrizione ordinario in 5 anni (senza l’emissione di nessun
atto interruttivo quale ad es. il decreto di citazione diretta a
giudizio) dalla data di commissione del fatto ed un termine di
prescrizione massimo di sette anni e mezzo dalla data di commissione
del fatto (con l’emissione di un atto interruttivo).
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4/24/2015 04:05:00 PM
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