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Ceriale, programma "Ghostbusters"

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Tutti i condomini sono legittimati a richiedere alla banca gli estratti conto intestati al condominio


L’ABF (Arbitro Bancario Finanziario) ha accolto il ricorso presentato dal "Movimento Difesa del Cittadino" di Ceriale (Sv) per conto di una signora condomina, in cui si chiedeva di imporre alla banca la consegna della documentazione relativamente al conto corrente intestato al condominio.

La banca rispose che, "in osservanza della privacy", gli estratti conto non potevano essere rilasciati a chi non fosse intestatario del conto, ritenendo tale solo il condominio "nella persona dell’amministratore pro-tempore quale legittimo rappresentante".

L’ABF confermò pertanto il proprio orientamento già espresso nella decisione n. 814 del 19/4/2011, in cui fu stabilito che "la natura giuridica del condominio è controversa in dottrina e in giurisprudenza; tuttavia si ritiene di aderire alla giurisprudenza di Cassazione prevalente che qualifica "il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini", sicché "l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale".

Oltre alla Cassazione c'è un altro precedente: la sentenza di merito del Tribunale di Salerno (in data 30/07/2007) ove si legge che "ogni condomino, in quanto "cliente" […] deve aver diritto di ottenere direttamente dall’istituto bancario la consegna di copia degli estratti conto".

Il Collegio ha respinto anche l’obiezione sollevata dalla banca di non poter consegnare i documenti per ragioni di tutela della riservatezza in quanto, se è "indubbio che la banca è tenuta a non rivelare a terzi estranei le notizie riservate inerenti ai rapporti con la clientela […] è altrettanto vero che quando la legittimazione del terzo appare certa, la banca è tenuta a dare l’informazione richiesta, non potendo pretendere che il terzo si rivolga al giudice o, come in questo caso, all’ABF, perché la svincoli dal segreto bancario. […] il condomino che sia legittimato come tale, ha diritto a richiedere le informazioni inerenti al conto corrente bancario del condominio. Il diritto del condomino all’informazione, da un lato, appartiene alla sua sfera giuridica".

Ritenuto fondato il ricorso presentato da MDC, l’ABF ha confermato il principio secondo cui ogni condomino deve avere diritto di ottenere direttamente dall’istituto bancario la consegna di copia degli estratti di conto corrente intestato al condominio nel quale abita.
Per ottenere l’estratto, si può richiedere alla banca una convocazione per ricevere dalla banca stessa l’estratto di conto mostrando un elenco dei componenti il condominio (o altro documento).

MDC di Ceriale ha creato un programma "Ghostbusters" che rileva operazioni non valide di difficile individuazione sull’estratto di Conto bancario.



"Tempi duri per gli amministratori che non hanno una perfetta gestione della cassa del condominio..."
 
...Con la sentenza del 5 ottobre 2011, n° 36022, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che il reato di appropriazione indebita si può verificare a carico dell'amministratore di condominio anche per ammanchi di importi esigui nei fondi condominiali, quando la giacenza sia inferiore a quanto risulta dalla contabilità condominiale, dal momento che una differenza contabile di minima entità potrebbe fondarsi anche su presupposti non leciti. I Giudici hanno così affermato che l'esiguità dell'ammanco di cassa di per sé stessa non è in grado di escludere la responsabilità penale dell'amministratore per il reato di appropriazione indebita aggravata, sia sul piano oggettivo che soggettivo.
Ne deriva che l'amministratore di un condominio in presenza di un ammanco di cassa, anche di minimo importo, per evitare la condanna, dovrà dare prova del fatto che tale differenza rispetto al dato contabile è stata causata da altre ragioni, come ad esempio un errore nella contabilità. In assenza di tale prova, egli risponderà anche penalmente dell'ammanco nelle casse condominiali, pur se il reato si è concretizzato in una differenza di minimo importo.
Nella realtà capita troppo spesso che gli amministratori non professionisti usino il denaro dei condomini in maniera impropria, sia per prassi, sia per la mancanza di precise disposizioni di legge sul punto, facendo affluire gli oneri condominiali incassati su propri conti correnti o in depositi bancari comuni, finendo col creare una sostanziale confusione di patrimoni e l'automatica incoerenza del saldo contabile col saldo di cassa.
La giurisprudenza ha cercato di supplire a questa deficienza normativa segnando una serie di principi che l'amministratore deve conoscere ed osservare per un corretta gestione della cassa del condominio:
1) l'amministratore è obbligato a far affluire i versamenti delle quote condominiali su un apposito e separato conto corrente intestato a ciascun condominio da lui amministrato, onde evitare che possa sorgere confusione tra il suo patrimonio personale e quelli dei diversi condominii che gestisce, nonché tra questi ultimi (v. Trib. Salerno Sez. I, 3 maggio 2011, in Contratti 2011, 6, 602, Trib. Torino, 3 maggio 2000, in Arch. locazioni, 2001, 456);
2) per contro, il singolo condomino ha un vero e proprio diritto soggettivo a veder versate le proprie quote, sia per sopperire alle spese che per gli eventuali fondi, su un conto corrente intestato al condominio e non personalmente all’amministratore, ed a conoscere l’entità degli interessi che maturino a suo favore (v. Trib. Milano, 9 settembre 1991, in Arch. locazioni, 1992, 378);
3) la mancata adozione da parte dell'amministratore di condominio di un conto corrente apposito per la gestione condominiale costituisce perciò, da sola, una irregolarità di tale gravità da comportare la revoca del mandato (cfr. Trib. Roma, 24 agosto 2009, in De Jure; Trib. S. Maria Capua V., 17 luglio 1997, in Gius 1998, 121; Trib. Torino, 3 maggio 2000, in Arch. locazioni 2001, 456; Trib. Milano, 29 settembre 1993, in Foro it., 1994, I, 1967 Trib. Milano, 9 settembre 1991, in Arch. Locazioni 1992, 378);
4) ne consegue che è illegittima la deliberazione dell’assemblea di condominio che preveda di far affluire i versamenti delle quote condominiali sul conto corrente personale dell’amministratore, in quanto ciò integra la lesione del diritto di ciascun condominio alla perfetta trasparenza, chiarezza e facile comprensibilità della gestione condominiale, limite inderogabile alle scelte discrezionali e gestionali degli organi di amministrazione e governo del condominio (v. Trib. Genova, 16 settembre 1993, in Giust. civ., 1994, I, 2635);
Questo elenco di norme è stato ritenuto così importante dal legislatore che per una parte sostanziale lo ha fatto confluire nel progetto di legge per la "Riforma del condominio", contenuta nel DDL n. 4041, recante "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici", approvato in prima lettura dal Senato il 26 gennaio 2011, e poi all'esame della Camera dei Deputati, il quale espressamente prevede al comma 5° del nuovo art. 1129 che «L'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino può accedervi per prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica. Alla cessazione dell'incarico l'amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e a eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.»; aggiungendo al comma 9, lett. c), come ipotesi tipica di "grave irregolarità" legittimante la revoca dell'amministratore, appunto, «c) la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al quinto comma».
Il rapporto tra amministratore e condomini è basato sulla fiducia. Questa affermazione indica esattamente l’elemento primario ed indispensabile che giustifica tutto ciò che di seguito andremo a considerare sull’argomento in discussione.
Nello svolgimento del suo mandato l’amministratore deve sempre rispettare gli obblighi di lealtà, correttezza e di diligenza nei confronti dei condomini, soprattutto nella gestione dei fondi condominiali, la cui violazione può incidere negativamente sul rapporto fiduciario, intercorrente tra le parti, fino al punto da rendere impossibile lo svolgimento dell’incarico e la gestione del condominio.
Pertanto, rientra nei poteri negoziali dell'amministratore, e rappresenta una opportuna cautela e garanzia di corretta gestione, l'apertura di un conto corrente, anche se la banca, prima di accendere un conto intestato all'ente (condominio), deve accertarsi dei poteri del richiedente (v. Trib. Padova, 5 luglio 2007, in Imm. e propr., 2007, 11, 734; Trib. Chieti, 8 maggio 2007).
La gestione dei fondi e dei movimenti di cassa condominiali mediante un conto corrente bancario o postale pone l'amministratore anche al riparo da possibili accertamenti fiscali da parte dell'Agenzia delle Entrate. Non a caso la Suprema Corte ha stabilito che «Nel caso di amministratore di condominio, è necessario verificare, in base alla prova liberatoria offerta dal contribuente, quali siano le singole movimentazioni bancarie riferibili direttamente all'attività di amministrazione del condominio, onde poter conseguentemente escludere che le stesse non costituiscano corrispettivi non dichiarati. La prova liberatoria non può essere generica, ma deve essere specifica, stante la presunzione di cui all'art. 51 D.P.R. n. 633/1972, se il contribuente utilizza il conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di denaro altrui deve fornire la prova analitica della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di denaro altrui, diversamente, la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato» (v. Cass. civ. Sez. V Sent., 13 giugno 2007, n. 13818, in Notariato, 2007, 5, 494, cfr. pure Cass. civ. Sez. V Sent., 13 giugno 2007, n. 13819, in Mass. Giur. It., 2007).
Nella gestione del conto corrente bancario o postale intestato ad un condominio, l’amministratore non può compiere operazioni che eccedano l’ordinaria amministrazione, salvo il caso di apposita delibera assembleare; è pertanto inefficace nei confronti del condominio già intestatario del relativo conto corrente, l’apertura di credito illecitamente ottenuta dall’amministratore pro tempore dietro presentazione alla banca di falsa delibera da lui stesso redatta, contenente l’autorizzazione assembleare ad effettuare l’operazione bancaria sulla base di necessarie e ingenti somme da sborsare per spese di ristrutturazione dell’immobile; conseguentemente, il condominio non potrà essere chiamato a rispondere del relativo debito derivante dal saldo negativo del conto (v. Trib. Monza Sez. II, 6 novembre 2006; Trib. Firenze, 6 agosto 2004, in Arch. Locazioni, 2004, 721), allo stesso modo non è efficace nei confronti del condominio il contratto di mutuo stipulato dall'amministratore senza preventiva delibera assembleare, anche se stipulato per provvedere alle spese occorrenti alla manutenzione delle parti comuni dell'edificio (v. Cass. Civ., II sez, 5 marzo 1990, n. 1734, in Foro It. 1990 , 11, I, 3221).
La gestione separata delle risorse finanziarie del condominio è giustificata anche dalla necessità di evitare tutte le conseguenze dannose per l’ente di una eventuale procedura esecutiva o fallimentare che potesse svolgersi nei confronti dell’amministratore, in quanto come è evidente la confusione dei patrimoni potrebbe condurre i creditori – senza che il condominio possa eccepire alcunché – a rivalersi legittimamente su tutti i beni mobili (tra cui il denaro) ed immobili a questi intestati (cfr. Cass. civ. Sez. I, 31 marzo 2011, n. 7510, in CED Cassazione, 2011, e Cass., sez. I, 7 dicembre 1999, n. 13660, in Foro it., 2000, I, 1905); per contro nello stesso caso di confusione dei patrimoni il creditore del condominio potrebbe rimanere vittima dell’illegittimo e fraudolento occultamento dei fondi del condominio, che venissero versati su conti o depositi bancari intestati personalmente all’amministratore.
Alla scadenza del mandato l’amministratore, dopo la spiegata e corretta gestione dei fondi e della cassa dell’ente, è tenuto a consegnare tutto quanto ha ricevuto per effetto dell’incarico al suo successore ed a rendere il conto della sua gestione.
Ormai è pacifico, sia in giurisprudenza sia in dottrina, che l’amministratore del condominio configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato; pertanto, a norma dell’art. 1713 c.c., alla scadenza dell’incarico l’amministratore è obbligato a rendere il conto della sua gestione ed a restituire ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato per conto del condominio, vale a dire tutto quello che ha in cassa, indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono (v. Cass., sez. II, 16 agosto 2000, n. 10815, in Rass. locazioni, 2001, 117, n. DE TILLA), quindi anche quel denaro che avesse eventualmente incassato, quale recupero di crediti scaduti dell’ente verso condomini o verso terzi, ma riguardante gestioni diverse dalla sua.
Naturalmente l’obbligo posto a carico del mandatario di rimettere al mandante tutto quello che ha ricevuto a causa del mandato (art. 1713, 1º comma, c.c.) non sorge solo a seguito della conclusione dell’attività gestoria, ma anche quando si accerti l’impossibilità di eseguirla o quando vi sia stata la revoca del mandato, poiché in entrambi i casi il mandatario non ha più titolo per trattenere quanto gli è stato somministrato dal mandante (v. Cass., sez. III, 11 agosto 2000, n. 10739, in Foro it., 2001, I, 512).
L’obbligazione non si riferisce soltanto ai valori in cassa, bensì a tutto quanto egli abbia ricevuto per lo svolgimento dell’incarico, tra cui i documenti concernenti la gestione, che peraltro egli non può trattenere fino a quando non gli vengano rimborsate le eventuali somme anticipate per conto del condominio, avvalendosi del principio "inadimplenti non est adimplendum", non essendovi corrispettività né interdipendenza tra le prestazioni in parola, originate da titoli diversi (v. Cass., sez. II, 3 dicembre 1999, n. 13504, in Rass. locazioni, 2000, 165, n. DE TILLA).
Nel caso in cui vi fosse un rifiuto da parte dell’amministratore uscente di adempiere agli obblighi di fine mandato i condomini possono rimediarvi con due diverse azioni:
1) l’azione di rendiconto, con la quale il convenuto deve fornire la prova non soltanto dell’entità e della causale degli esborsi e degli incassi, ma anche di tutti gli elementi di fatto sulle modalità di esecuzione dell’incarico, utili per la valutazione del suo operato, in relazione ai fini perseguiti, ai risultati raggiunti ed ai criteri di buona amministrazione e di condotta prescritti dagli artt. 1710-1716 c.c. (v. Cass., sez. III, 9 febbraio 2004, n. 2428, in Mass. 2004 e Cass., sez. I, 23 aprile 1998, n. 4203, in Giur. it., 1999, 1845, n. FORCHINO; cfr. anche Cass., sez. I, 10 dicembre 2009, n. 25904, in CED cassazione 2009). Tra l’altro è bene ricordare che l’obbligo del rendiconto non viene meno neanche nel caso di morte del mandatario, in quanto esso si trasmette ai suoi eredi; infatti l’estinzione del mandato per morte del mandatario, prevista dall’art. 1722, n. 4, c.c., e l’obbligo di rendiconto a carico dello stesso mandatario, previsto dal precedente art. 1713, 1º comma, c.c., si collocano su piani diversi e non confondibili, di tal che l’evento morte spiega il solo effetto giuridico di trasferire l’obbligo di rendiconto, dal mandatario, ai suoi eredi, in virtù delle norme generali in tema di successione mortis causa (v. Cass., sez. II, 10 giugno 2003, n. 9262, in Mass. 2003 e Cass., sez. III, 4 settembre 1998, n. 8801, in Mass. 1998);
2) l’azione di restituzione è esperibile sia in via ordinaria, ovvero con atto di citazione, sia pure in via d’urgenza con ricorso ex art. 700 c.p.c. (v. tra le tante Trib. Roma, 7 dicembre 1998, in Arch. locazioni, 1999, 109; Trib. Bologna, 26 maggio 1998, in Arch. locazioni, 1999, 289; Trib. Trieste, 3 aprile 1993, in Giust. civ., 1994, I, 907). Il nuovo amministratore è legittimato ad agire, anche senza autorizzazione dell'assemblea (v. Trib. Salerno Sez. I, 7 agosto 2008, Cass. civ. Sez. II, 3 dicembre 1999, n. 13504, in Mass. Giur. It., 1999, e Trib. Roma, 18 marzo 1987, in Arch. Locazioni, 1988, 752; contra Trib. Arezzo Sent., 4 aprile 2007, in In nome del popolo aretino, 2007), onde ottenere la consegna immediata di tutti i documenti e delle risorse finanziarie (tra cui le somme riscosse per ogni titolo e ragione, comprensive degli interessi ex art. 1714 c.c.) del condominio da parte del suo predecessore, in adempimento degli obblighi sanciti dal citato art. 1713 c.c.
Secondo la più recente giurisprudenza di merito è ammissibile anche il ricorso alla procedura monitoria al fine di ottenere la consegna della documentazione e della cassa condominiale, quale cosa mobile determinata, illegittimamente detenuta dal pregresso amministratore (v. Trib. Ariano Irpino, 24/04/2007, in Arch. Locazioni, 2007, 5, 500). Il diritto alla consegna di una cosa mobile determinata menzionato dall’art. 633, comma 1, c.p.c. non ha natura diversa, se non per l’oggetto della prestazione, dal diritto di credito ad una somma di denaro ed è, quindi, parte della categoria generale del credito quale unica situazione giuridica soggettiva tutelabile in sede monitoria. Infatti è pienamente ammissibile la domanda, proposta nelle forme del ricorso per ingiunzione, con la quale venga esercitata un'azione di carattere personale avente a oggetto la restituzione di una cosa in quanto l'art 633 cod proc civ, nel riferirsi alla domanda "di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata", indica qualsiasi prestazione di dare che costituisca il contenuto di un rapporto obbligatorio (cfr. Cass. Civ., II sez., 14 dicembre 1978, n. 5957).
Secondo la sentenza del Tribunale di Ariano Irpino si può fare ricorso alla procedura monitoria per farsi restituire la documentazione condominiale, illegittimamente detenuta dal pregresso amministratore, perché la contabilità cartacea può essere assimilata ad una cosa mobile determinata e l'amministratore di condominio alla fine del suo mandato ha l'obbligo di restituire ai condomini quanto ha ricevuto a causa dello svolgimento dell'incarico, tra cui i documenti concernenti la gestione, a prescindere da ogni motivazione. L’ex amministratore non può, pertanto, trattenere la documentazione condominiale a causa di un mancato rimborso di somme anticipate per conto dell'ente, non essendovi corrispettività né interdipendenza tra dette prestazioni, originate da titoli diversi. La documentazione della gestione precedente deve essere assolutamente, inderogabilmente ed obbligatoriamente consegnata al nuovo amministratore, perché è indispensabile per l'esecuzione delle deliberazioni assembleari, per il rispetto del regolamento di condominio, l'amministrazione delle cose e degli impianti e dei servizi comuni, la conservazione e la manutenzione di essi, la disciplina del loro uso e, soprattutto, la riscossione dei contributi.
Quindi, se l'ex amministratore non ottempera a tale obbligo, può essere condannato non solo alla consegna di tale documentazione, ma anche al risarcimento del danno causato al condominio e costituito in quei costi necessari a ricostruire le posizioni contabili interne e verso terzi fornitori. Tale danno non è sempre facilmente documentabile e potrà essere liquidato dal Giudice secondo equità (v. Trib. Padova Sez. I, 14 giugno 2003, in Mass. Giur. Civ. Patavina, 2006).
Il rifiuto illegittimo o il ritardo ingiustificato delle consegne al nuovo amministratore possono integrare quella interversione nel titolo del possesso, che costituisce l’elemento materiale del reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p. Invece l’elemento soggettivo di un tale illecito penale si realizza allorquando l’agente in piena coscienza e volontà, vale a dire con dolo generico, si appropria della cosa mobile altrui, posseduta ad un qualsiasi titolo. Chiaramente nel caso dell’amministratore di condominio uscente – che stia esplicando tutte le pratiche per il passaggio delle consegne – perché si realizzi il reato in parola non basta che sussista "il semplice rapporto materiale tra il possessore e la cosa posseduta", bensì occorre che egli evidenzi il rifiuto espresso o tacito (ad es. per facta concludentia decorso il termine della diffida ad adempiere) alla riconsegna, dimostrando un potere di fatto autonomo e nuovo rispetto alla cosa stessa (denaro od altri beni).
Nel caso dell’amministratore di condominio che si appropri indebitamente dei valori o dei beni condominiali configura anche l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 c.p., perché all’origine vi è un rapporto di prestazione d’opera, che non si risolve in un semplice rapporto fiduciario, ma in un vero è proprio contratto di mandato, un ufficio di diritto privato con effetti obbligatori tra le parti. In effetti la prestazione d’opera di cui l’agente abusa, facilita l’indebita appropriazione, determinando la configurabilità dell’aggravante de quo (v. Cass. pen., Sez. II, 6 dicembre 2005, n. 3462, in CED Cassazione, 2006; Cass. pen., Sez. II, 18 marzo 1999, n. 11264, in Cass. Pen., 2000, 2669 e Arch. Nuova Proc. Pen., 2000, 66). Ma sul punto la giurisprudenza di legittimità è andata oltre sostenendo che "l’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera implica un concetto più ampio di quello civilistico di «locazione d’opera», comprendendo tutti i casi nei quali, a qualunque titolo (quindi anche rapporti di mero fatto), taluno abbia prestato ad altri la propria opera; infatti, ciò che rileva è l’abuso della relazione fiduciaria da parte dell’autore, il quale profitta di una situazione di minore attenzione della vittima, determinata proprio dall’affidamento che questa ripone nell’opera dell’altro, per commettere un reato a suo danno" (v. Cass. pen., Sez. II, 23 settembre 2005, n. 40793, in Guida al Diritto, 2005, 47, 65; Cass. pen., Sez. II, 8 ottobre 2004, n. 44868, in Riv. Pen., 2006, 1, 97; Cass. pen., Sez. II, 23 ottobre 2003, n.895, in Riv. Pen., 2004, 1245;), chiaramente deve esservi un rapporto giuridico apprezzabile, che non si risolva in un rapporto meramente occasionale ed estemporaneo, connesso a ragioni di semplice amicizia (v. Cass. pen., Sez. VI, 11 dicembre 1995, n. 2717, in Cass. Pen., 1997, 398 e Giust. Pen., 1996, II, 715).
Nella pratica è diffuso il caso dell’utilizzo da parte dell’amministratore del denaro condominiale per scopi personali ed estranei al condominio amministrato, ma ricorre l’appropriazione indebita aggravata anche per il semplice ed indebito lucro che l’amministratore potesse ricavare mettendo in giacenza od in profitto su propri conti bancari tali somme o quando addirittura le investisse con l’acquisto di titoli od altri beni mobili ed immobili.
Ricorre l’appropriazione indebita aggravata anche se l’amministratore avesse lucrato dei soli interessi attivi maturati sulle somme del condominio (cfr. Cass., 9 novembre 1987, in Impresa, 1988, 2573).
Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell'amministratore condominiale che, ricevute le somme di denaro necessarie dai condomini, ometta di versare i contributi previdenziali per il servizio di portierato. (Cass. pen. Sez. II, 11 novembre 2010, n. 41462, in CED Cassazione, 2010; cfr. Cass. pen., sez. II, 11 maggio 2009, in Riv. Pen. 2010, 906).
Quando l’amministratore nel compiere il delitto di appropriazione indebita cagiona un grave danno economico al condominio ricorre anche l'aggravante del "danno patrimoniale di particolare gravità" sancita dal n. 7 dell’art. 61 c.p. (v. Trib. Roma, 4 giugno 2004, n. 12910, in Guida al Diritto, 2004, 50, 80); chiaramente se il delitto contro il patrimonio fosse solo tentato, la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p., potrebbe essere riconosciuta soltanto se, essendo le modalità del fatto criminoso idonee a fornire concrete indicazioni sull’entità del danno, risultasse rigorosamente dimostrato che, ove l’evento si fosse verificato, il danno patrimoniale sarebbe stato di rilevante entità (v. Cass., sez. VI, 10 novembre 1994, in Mass. Cass. pen., 1995, fasc. 5, 53).
Nel caso in cui l’amministratore sottragga periodicamente delle somme dai conti del condominio per scopi personali e non giustificati dalle esigenze gestionali dell’ente il reato si configura anche come "continuato" ex art. 81 c.p., e ad avviso della Suprema Corte "in caso di reato continuato, valendo, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell’aggravante del danno di rilevante gravità dev’essere operata con riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo cagionato dalla somma delle violazioni, difettando una norma che, ai fini in questione, consideri il reato come una pluralità di episodi tra loro isolati" (v. Cass. pen., Sez. VI, 8 luglio 2005, n. 33951, in Riv. Pen., 2006, 7-8, 842 – sull’amministratore di condominio v. Cass. pen., Sez. II, 30 aprile 2004, n. 39651, in Guida al Diritto, 2004, 45, 59).
L’appropriazione indebita aggravata compiuta dall’amministratore di condominio è sempre procedibile d’ufficio ed all’uopo, non ha influenza la dichiarazione di equivalenza tra quella aggravante e le attenuanti generiche; a maggior ragione, la remissione di querela non spiega alcuna influenza sull’esercizio dell’azione penale (v. Cass., 5 dicembre 1980, in Riv. pen., 1981, 810)
Caratteristiche simili, quali l’appropriazione della cosa, mettono in rapporto alcuni reati con la fattispecie di reato in esame, tra i quali il reato di truffa ex art. 640 c.p.
Tuttavia l’elemento discriminante nel reato di truffa è la sussistenza degli artifici e raggiri.
Il delitto di appropriazione indebita consiste nella semplice interversione del titolo del possesso da parte di chi, a qualsiasi titolo, detenga danaro od altra cosa mobile altrui; non sussistono quindi gli estremi del reato di cui all’art. 646 c.p., bensì quelli della truffa, allorché l’amministratore si impossessi del denaro appartenente al condominio attraverso una serie di passaggi contabili, di atti e di convenzioni, volti, non solo ad assicurarsi il frutto del reato, ma a fare apparire regolari i trasferimenti (cfr. Cass., sez. V, 21 gennaio 1999, in Ced Cass., rv. 212528).
Nel caso della sentenza annotata sarebbe emerso il reato di truffa, qualora l’amministratore di condominio avesse convinto con l’inganno l’assemblea condominiale a votare la realizzazione di lavori straordinari al fabbricato, avesse fittiziamente affidato il lavori ad una ditta, facendosi pagare la prima quota dei lavori dai condomini, per poi appropriarsene (cfr. Cass., 19 aprile 1989, in Riv. pen., 1990, 602).
Infine, è bene ricordare che i condomini devono avere sempre una particolare attenzione nei confronti dell’amministratore che non rende il conto della sua gestione in quanto il reato di appropriazione indebita – rilevabile per lo più dal rendiconto – prevede un termine di prescrizione ordinario dalla data di commissione del fatto di 6 anni; infatti con l’entrata in vigore della legge 5 dicembre 2005, n° 251 è stato modificato l’art. 157 c.p. che prevedeva per il reato di appropriazione indebita il termine di prescrizione ordinario in 5 anni (senza l’emissione di nessun atto interruttivo quale ad es. il decreto di citazione diretta a giudizio) dalla data di commissione del fatto ed un termine di prescrizione massimo di sette anni e mezzo dalla data di commissione del fatto (con l’emissione di un atto interruttivo).

Clicca sui collegamenti sotto riportati per collegarti direttamente alla pagina web del Movimento per la difesa del cittadino:
 

 



4/24/2015 04:05:00 PM

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